PER UNA NUOVA CULTURA INDUSTRIALE:
Note per una riconciliazione tra ambiente,
progetto e produzione
Una guerra è in atto nel mondo contemporaneo: in conflitto, due possibilità. La prima: estinzione rapida e molto dolorosa del genere umano, a causa di catastrofi ambientali ed economiche. La seconda, sogno comune a molti: soluzione degli squilibri planetari, ridistribuzione delle risorse, produzione sostenibile di manufatti compatibili con l’ambiente. Cosa bisogna leggere per capire qual è il futuro conseguente a queste due possibilità? Forse qualche libro di Jacques Attali, dove si troveranno descritti altri orrori, o altre utopiche età d’oro del progetto. Una considerazione incoscientemente ottimista fa pensare a una terza, realistica, via possibile: prendere atto della sopravvivenza del sistema di produzione materiale industriale – anche in un’epoca frettolosamente etichettata come virtuale – e scoprire come agire dentro questo sistema: per realizzare progetti di infrastrutture, architetture, strumenti d’uso correttivi alla deriva del capitalismo selvaggio. Possono cambiare le merci, divenire sempre più simili a software, tentare di allontanarsi dalla materia per attingere alla capacità di espressione pura (“un giorno tutti saranno famosi” – o artisti – “per quindici minuti”): ma le ragioni e i meccanismi della loro produzione, i fattori di successo o fallimento, sopravvivenza o sparizione degli oggetti non sono troppo dissimili da quelli del secolo scorso. Sembra ad esempio difficile immaginare che le popolazioni del Nord Africa, ultime ad essersi sollevate da una condizione medievale, vogliano rinunciare all’obiettivo miglioramento della loro condizione attraverso un’inedita versione, possibilmente laica e democratica, del sistema industriale capitalista. Certo, è una scommessa: ma sicuramente meno rischiosa della follia dei mercati finanziari, insensibili a qualsiasi problematica etica, culturale, perfino economica. Anche contro questa follia è iniziata da tempo una rivoluzione silenziosa, un’innovazione quotidiana, un cambiamento per grandi teorie e piccoli passi di cui alcuni industriali, alcuni progettisti, alcuni attivisti sono coscienti attori e diffusori. Pochi produttori, architetti, designer hanno più il coraggio di proporre – pena lo sbeffeggiamento planetario (grazie alla Rete) e la rapida uscita dal mercato del progetto – soluzioni ancora sospette di inquinamento visivo o reale, finzione scenografica, pretesto autoerotico per l’elevazione di piccoli monumenti all’Ego. Sperimentazione scientifica, nanotecnologica e microbiologica si incrociano in invenzioni sorprendenti, “chimere” tra esseri viventi e inanimati, figure fantastiche in 3d che forse prima o poi risolveranno i problemi della sopravvivenza. In questa indagine sulla verità di metodi alternativi, in questa ricerca di soluzioni non effimere, di una stabilità dell’innovazione contro l’epilessia dello stile, accompagna il nostro lavoro di osservatori un innato sentimentalismo, il ricordo di un’età forse immaginaria in cui le cose, le case, le città avevano un’anima: quell’entità viva e sempre presente che ci parla attraverso gli oggetti, oltre le lingue, i codici, le convenzioni e le mode, spesso direttamente al cuore o alla mente, nel quotidiano, faticoso interagire con il mondo. Forse è una cosa anch’essa, ma sospetto che sia animata più di tante persone che al sentimento di essere parte di un’umanità hanno da tempo rinunciato: se questa cosa animata, antica ed eternamente presente si ritroverà da qualche parte, magari nascosta tra le righe, nelle pagine di questa pubblicazione, la nostra ottimistica considerazione di partenza avrà avuto un senso.
STEFANO CASCIANI